Invito alla lettura di Samuel Beckett


Daniele Benati

Tanti anni fa, quando ho letto Beckett per la prima volta, ero rimasto colpito dai suoi personaggi perché erano tutti dei vecchi derelitti che non riuscivano neanche a stare in piedi e se dicevano una cosa poi se la rimangiavano dicendo il suo contrario. Oppure sostenevano di aver vissuto con delle donne che però chiamavano con nomi sempre diversi perché non si ricordavano mai quello giusto. Alcuni di questi personaggi erano moribondi che non vedevano l’ora di morire e stavano lì a calcolare quanto tempo gli sarebbe rimasto da vivere, sperando di farla finita al più presto. Oppure erano già morti e si mettevano a raccontare storie solo perché avevano paura di ascoltarsi imputridire. E quello che mi colpiva nel loro modo di raccontare era che non sapevano niente di preciso riguardo a quello che raccontavano e a volte si stupivano di certe parole o frasi un po’ colte che gli erano uscite di bocca. Ma l’aspetto più curioso era che non c’era niente di funereo in tutto ciò e che anzi queste loro storie sembravano ispirate in molti punti da una strana comicità. Così alla fine mi ero ricreduto sul conto di Beckett, che avevo avvicinato con molto timore a causa del preconcetto diffuso all’epoca che fosse un autore astruso e difficile e per niente divertente come generalmente vengono considerati gli scrittori sperimentali.